IL JUKEBOX DEL TEMPO PERSO – Correva l’anno, il mese, il giorno… 28 ottobre 1959
Diamo un giro di vite alla nostra macchina del tempo… musicale:
IL JUKEBOX DEL TEMPO PERSO
inizia il suo viaggio a ritroso alla riscoperta
delle colonne sonore dei nostri anni che furono
Diamo il benvenuto a Riccardo Lestini,
la nostra virgiliana guida in questo cammino.
Buona Lettura dalla Redazione di Puntozip!
Correva l’anno, il mese, il giorno… 28 ottobre 1959
Nell’anno del trionfo della rivoluzione cubana, dell’arrivo nei negozi della bambola Barbie e del Nobel per la Letteratura a Salvatore Quasimodo, l’Italia scopre il «miracolo economico», subito battezzato «boom» da un celebre articolo del corrispondente da Roma del quotidiano inglese «Daily Mailfu». Una sorta di riconoscimento ufficiale a sancire una svolta epocale: terminato il lungo e difficile periodo della ricostruzione postbellica, il PIL viaggia sulla cifra record del +6,6% e il paese inizia a conoscere il benessere, il consumismo, la modernità. La realtà è molto più complessa e contraddittoria (e decisamente meno rosea) di quanto le definizioni di comodo e le statistiche lascino immaginare. L’Italia è ancora un paese culturalmente arretrato, con larghe aree alle prese con tassi di analfabetismo alle stelle e infrastrutture inesistenti, attraversato da gigantesche tensioni sociali e con una democrazia ancora fragilissima e continuamente esposta a rischi concreti di svolte autoritarie.
Eppure, un certo clima eccitato di rinascita e di voglia di lasciarsi alle spalle il grigiore degli anni precedenti è quantomai palpabile, una certa (cauta) ventata di novità serpeggia in ogni dove. Specie sul pianeta musica, tutt’altro che un universo parallelo ma, al contrario, specchio e cassa di risonanza degli umori e delle tendenze della massa.
Siamo, infatti e non a caso, nel 1959. Domenico Modugno, in parallelo – o meglio in leggero anticipo – al boom, ha appena “profanato” quel tempio della tradizione musicale che già allora era il Festival di Sanremo vincendolo due volte con altrettante perle, l’immortale Nel blu dipinto di blu e la più canonica Piove, segnando di fatto l’anno zero della storia della moderna canzone italiana. Cavalcando quell’onda, è esplosa più o meno dal nulla la generazione degli “urlatori”, che rifiutando la tradizione del belcanto guardano a Elvis e al rock d’oltreoceano. Il jukebox ha fatto la sua trionfale comparsa nei bar, specie quelli rivieraschi, e da inizio anno ogni settimana la radio trasmette la “Top Ten” dei 45 giri più venduti e ascoltati.
La classifica di quel 1959 è, manco a dirlo, la cartina tornasole più o meno perfetta della società del tempo, specchio di un paese che sogna l’America ma non riesce a mettere da parte il provincialismo e che assaggia la ricchezza senza emanciparsi dalla miseria. Un ibrido in grigio, una sorta di vorrei ma non posso, un desiderio di novità continuamente frenato dall’attaccamento al vecchio.
Al primo posto troviamo infatti Forever di Joe Damiano (https://www.youtube.com/watch?v=lquNg-PraXw), tipica ballad anni Cinquanta sullo stile dei vari Paul Anka, Neil Sedaka e compagnia. Un’America spruzzata d’Italia per l’appunto (italoamericano è l’interprete), un nuovo innocuo e rassicurante, lo stesso che chiede la massa nel momento di abbracciare il mondo industriale, già passato per la madrepatria ma perfetto per il nostro paese, dove riscuote un successo clamoroso restandoci qualcosa come otto settimane, al primo posto. Discorso identico per il secondo gradino del podio, dove troviamo Arrivederci dell’esule cubano naturalizzato italiano Marino Barreto Junior (https://www.youtube.com/watch?v=L5Jls3YG8Ls). Si tratta di un brano (che reca la firma illustre del grande Umberto Bindi) di quel genere che di lì a poco verrà definito “confidenziale”, una specie di cantautorato soft, niente a che vedere con l’esistenzialismo intellettuale alla chansonnier sul modello di Gino Paoli, più sulla scorta di Modugno ma meno aggressivo di Nel blu dipinto di blu. Anche in questo caso, un nuovo rassicurante. E nel segno della rassicurazione si chiude il podio, con la terza piazza al tema principale della colonna sonora del più classico degli Western, Un dollaro d’onore
Subito fuori dal podio, la nuova generazione di urlatori con il suo rappresentante più illustre: Adriano Celentano con la leggendaria Il tuo bacio è come un rock. Tra gli autori il grande Lucio Fulci, alla chitarra un certo Giorgio Gaber. Squadra d’eccellenza a parte, in questo caso l’effettiva novità del brano – che in autunno inoltrato ancora resiste al quarto posto dopo essere stato la vera hit dell’estate – e (soprattutto) la carica eversiva del molleggiato sono innegabili, ma vengono bilanciate all’istante dal fatto che, prima ancora che nei jukebox e nelle sale da ballo, Il tuo bacio è come un rock (https://www.youtube.com/watch?v=IwgZAKHcnNE) e destinata al cinema, colonna sonora del film – diretto proprio da Fulci – I ragazzi del jukebox, capostipite del genere dei cosiddetti “musicarelli”, incarnazione della più inoffensiva e spensierata innocenza dei primi anni Sessanta.
Nelle altre posizioni di rincalzo della Top Ten, andando dal Paul Anka di Lonely Boy al già classico Modugno con Milioni di scintille – il filo conduttore è sempre quella specie di “nuovo ma non troppo”, “novità senza esagerazione”. Fatto salvo per una splendida eccezione: proprio nella settimana del 28 ottobre fa la sua prima apparizione in classifica una esordiente e ancora sconosciuta Mina con un pezzo firmato dal grande Migliacci destinato a fare epoca: Tintarella di luna (https://www.youtube.com/watch?v=iHxVLekxK6Q), che in quella fine di ottobre si piazza al quinto posto, proprio dietro Celentano. Nuova nella voce divina, nello spirito ribelle e nella fisicità prorompente, quel quinto posto improvviso suona come uno spartiacque tra un prima e un dopo.
Il successo travolgente che ne seguì era francamente troppo e anche in questo caso si rese necessario bilanciare lo strappo alla tradizione con un innocente musicarello. Stavolta fu Urlatori alla sbarra, ancora di Lucio Fulci, di cui Tintarella di luna è uno dei pezzi portanti e che cerca una generale normalizzazione per l’intera generazione degli urlatori.
Non poteva essere altrimenti per un paese che, sempre in quel 1959, aveva appena affossato i primi timidissimi tentativi di apertura a un’idea moderatissima di “centrosinistra” facendo cadere il secondo governo Fanfani. E che di lì a poco avrebbe votato la fiducia al governo Tambroni, un monocolore DC con l’appoggio esterno dell’MSI. Ad appena quindici anni dalla caduta della Repubblica di Salò.
Alla faccia di un passato da lasciarsi alle spalle…