IL JUKEBOX DEL TEMPO PERSO – Correva l’anno, il mese, il giorno… 23 marzo 1988
Correva l’anno, il mese, il giorno… 23 marzo 1988
È il 23 marzo 1988.
Gli anni Ottanta sono ufficialmente nella loro fase conclusiva, ma ancora l’entusiasmo è alto e, a parte qualche crepa, tipo disoccupazione e inflazione in aumento, l’impressione di avere tra le mani e sotto i piedi il migliore dei mondi possibili è assai forte e radicata.
La crisi di governo, aperta a metà mese con le dimissioni di Giovanni Goria, viene prontamente chiusa con il ritorno a Palazzo Chigi, dopo cinque anni di sbornia socialista, di un democristiano. Nella fattispecie, Ciriaco De Mita, che ottiene la fiducia proprio a ridosso di quel 23 marzo.
Formerà l’ennesimo esecutivo sostenuto dal pentapartito, progettato per durare fino al prossimo rimpasto. Nessuno può minimamente immaginare che è la penultima legislatura della Prima Repubblica, l’ultima con al comando, saldamente, tutti i partiti storici. E che un intero mondo è al capolinea.
Ma la politica di palazzo interessa poco. In genere, continua a interessare poco o nulla tutto ciò che odora minimamente di impegno. Gli yuppies imperversano in ogni dove avvelenando il paese del rampantismo più grottesco e, tragedia affatto secondaria, di un frasario ai limiti della decenza, tale da far impallidire quello dei paninari. Al cinema vanno per la maggiore film immancabilmente dimenticati come Topline e Iguana, in televisione spopolano le ragazze Cin Cin di “Colpo Grosso”, mentre Antonio Ricci sta per lanciare la leggendaria prima stagione di “Striscia la notizia”.
Benché nei talk show cominci a farsi strada il dibattito sul politically correct, si coniano espressioni da brivido come “vu cumprà”.
La Top Ten dei singoli più venduti è la fotografia perfetta di un’Italia allergica al pensiero critico e nutrita di idiozie televisive e cattivi pensieri. Fintamente emancipata e con una tenace e indissolubile anima bigotta, bisognosa di evasione e oblio come l’aria. Fanno da padrone, non a caso, i singoli sanremesi. L’edizione appena conclusa, a detta di molti una delle migliori della storia, ha comunque presentato per lo più canzoni disimpegnate, classiche melodie d’amore o sfrenati ritmi che scuotono e fanno ballare.
Al primo gruppo appartiene il singolo trionfatore del Festival, che occupa stabilmente anche la prima posizione della Top Ten, quella Perdere l’amore di Massimo Ranieri, brano sanremese per eccellenza, quintessenza del classico festivaliero (https://www.youtube.com/watch?v=61G4qMCeerQ). Bellissima, con un’interpretazione da brivido, capace di mettere tutti d’accordo e perciò ideale, rassicurante, lontana da increspature e pericolose divisioni.
Discorso identico, con rilancio, per la settima posizione, dove troviamo l’ennesimo Toto Cutugno di prammatica, ovvio secondo posto al Festival (roba che più anni Ottanta di questa non esiste), con quella Emozioni che nulla a che vedere con l’omonima di Battisti ed è così identica al suo autore da poter essere una canzone di cinque anni prima; o di cinque anni dopo (https://www.youtube.com/watch?v=vvEz4HgzV68).
E ancora discorso identico per il decimo posto, dove staziona la bella Mi manchi, interpretata da un Fausto Leali straordinariamente in forma, bel piazzamento al Festival ed ennesimo brano struggente sull’amore finito (https://www.youtube.com/watch?v=cRVaOmbisHU).
Pura energia è invece Andamento lento del grande Tullio De Piscopo (https://www.youtube.com/watch?v=mYWTCMAGBOU), un pop rock con echi etnici decisamente irresistibile. Vera sorpresa del Festival, quel 23 marzo è in sesta posizione. Ma è solo l’inizio: diventerà un autentico tormentone estivo, nonché un simbolo più o meno immortale delle spensierate estati anni Ottanta.
L’unico brano che pare sparigliare le carte e uscire dallo schema Festival/amore (o Festival/ballo scatenato, o ancora amore e basta senza Festival) è il brano dell’eterno Renzo Arbore. O meglio, di Renzo Arbore assieme alla meravigliosa banda di “Indietro tutta”, straordinario programma satirico/picaresco di seconda serata, destinato a fare epoca e a produrre centinaia di (pessime) imitazioni. La canzone in questione è la sigla di apertura, Sì la vita è tutto un quiz https://www.youtube.com/watch?v=ELLKLW97HUM), divertita, irriverente e caciarona satira su un popolo intero che senza nemmeno accorgersene stava diventando totalmente schiavo della televisione. Così inconsapevole, che in pochi (lo ricordo bene) si accorsero della potenza eversiva di quel brano e, più in generale, dell’intera trasmissione. C’erano le splendide brasiliane del Cacao Meravigliao, le bellissime Ragazze Coccodè, Nino Frassica e gli altri che facevano scompisciare e questo bastava, non importava capire come tutto fosse una caustica parodia di un paese in rovina e che sul banco degli imputati non c’erano i politici, ma gli stessi spettatori.
Di tutt’altro registro, ma allo stesso modo ancorata alla realtà, una splendida canzone di Luca Barbarossa, una meravigliosa eccezione in questo girotondo di disimpegno, a sorpresa arrivata terza a Sanremo e che, il 23 marzo, è appena salita al secondo posto della Top Ten. Si tratta de L’amore rubato, brano crudo e quasi insostenibile, prima volta che una canzone italiana affronta, direttamente e senza metafore, il tema atroce dello stupro. Il grazie di Franca Rame al cantautore romano fu un ulteriore riflettore acceso su una questione inaccettabile tenuta troppo a lungo sotto silenzio. Una delle prime crepe aperte in una società assurdamente e orgogliosamente maschilista, dove lo stupro era ancora considerato reato contro la morale pubblica e non contro la persona.
Una canzone necessaria. Tre giorni dopo, il 26 marzo, duecentomila donne sarebbero scese in piazza a Roma per chiedere parità di diritti. Due eventi affatto scollegati. E che ancora oggi, purtroppo, non sono passati di moda. Ancora occorre scendere in piazza a reclamare pari diritti e ancora, ahimè, questa canzone risulta tragicamente necessaria.
Non smettiamo di cantarla.
E di urlarla.
A tutte le donne che hanno subito violenza e ancora aspettano un mondo più degno e giusto.
E lei sognava un amore profondo
Unico e grande, più grande del mondo
Come un fiore che è stato spezzato
Così l’amore le avevan rubato