IL JUKEBOX DEL TEMPO PERSO – Correva l’anno, il mese, il giorno… 23 dicembre 1968
Correva l’anno, il mese, il giorno… 23 dicembre 1968
È il 1968, due giorni a Natale.
La festa più tradizionale del nostro calendario, si intreccia fatalmente e inevitabilmente con il primo bilancio dell’anno più iconico del decennio, quello in cui tutto cambiò, dove la «primavera abbagliante di follia» coinvolse e sconvolse la gioventù di mezzo mondo, un punto di non ritorno di certo planetario ma particolarmente forte in alcuni paesi, come l’Italia per l’appunto. Dove la contestazione studentesca fu un meraviglioso e spontaneo detonatore capace di scuotere nelle sue fondamenta una società rimasta culturalmente indietro anni luce. Un movimento così travolgente e inarrestabile da mettere in crisi, in un colpo solo, tutta la politica tradizionale, dai partiti di governo a quelli di opposizione fino a quelli fuori dall’arco costituzionale, dalla destra alla sinistra passando per il centro.
Un’onda inarrestabile che finisce per raccogliere ogni istanza, ogni bisogno di cambiamento: dalla fine delle gabbie ideologiche alla rivoluzione sessuale, dal femminismo al cristianesimo sociale, dalla politica dal basso ai diritti del proletariato.
Fabbriche, scuole e università occupate avevano reso la primavera incandescente, in autunno la contestazione era stata rilanciata con gli interessi. C’erano state le prime violenze, gli sgomberi a suon di manganello, gli scontri di Valle Giulia e, proprio in quel dicembre, la leggendaria pioggia di uova marce all’inaugurazione della stagione della Scala.
Ma ancora sulla violenza dominava un variopinto caos meravigliosamente in fermento, una fucina spontanea e straordinaria di idee e intuizioni. Verrà, di lì a poco (ahinoi, a pochissimo), il tempo buio delle rigidità ideologiche, delle divisioni, della logica della spranga e della repressione come regola quotidiana, verrà il tempo delle bombe e del piombo.
Ancora, in quell’imminente Natale 1968, è però il tempo della festa. Una festa che, al di là di moralismi, sospetti e bigottismi, è talmente varia e vasta da comprendere un po’ tutti e un po’ di tutto, senza troppa soluzione di continuità. Una convivenza armonico-casinista degli opposti amplificata dall’arrivo del Santissimo Natale, in cui sacro e profano, per una volta, si scontrano con il sorriso finendo per mescolarsi senza strascichi né perché.
La Top Ten, il 23 dicembre, è lo specchio più emblematico di questo clima. Nel senso che ci troviamo, letteralmente, di tutto. Tipo che in decima posizione troviamo ovviamente Mina (perché negli anni Sessanta è quasi impensabile una Top Ten senza Mina), con un classico che è la quintessenza del genere melodico “urlato” (nel senso di cantato dai cosiddetti “urlatori”, quegli interpreti, tra cui appunto spicca Mina, che a inizio decennio rivoluzionarono la musica leggera) in tutti i suoi splendori e in tutte le sue miserie: Vorrei che fosse amore.
E al nono post, quasi una risposta agli urlatori, ovvero quel beat che a metà decennio stravolse nuovamente i canoni della canzone. E non un beat qualsiasi, ma il beat che più beat non si può, cioè quello dell’Equipe 84 con Un angelo blu (https://www.youtube.com/watch?v=ecR3nBy13Jo).
In questo giochino di botta e risposta tra contrari, all’ottavo posto, quasi la Top Ten avesse il bilancino, ecco spuntare Gianni Morandi, ovvero colui che si era posto e imposto come una sorta di anello di congiunzione tra la vecchia scuola degli urlatori e l’inarrestabile nuova ondata beat. In quei giorni strambi e convulsi, il Gianni nazionali è in classifica con Il giocattolo (https://www.youtube.com/watch?v=rYviJ8RG124), brano di per sé trascurabile, ma è pur sempre l’ennesima conferma di quel punto di equilibrio.
Ma la logica del “di tutto un po’” tocca il culmine nel momento in cui scaliamo al settimo posto, dove troviamo un Mino Reitano d’annata, ovvero con un pezzo come Una chitarra, cento illusioni (https://www.youtube.com/watch?v=DUFmV8rSfVE) che per partitura e stile del cantato ci riporta addirittura al melodico pre-urlatori. Niente paura però. Il nuovo che avanza ritorna – sia con prepotenza sia sottilmente – al quinto posto, dove troviamo Sentimento di Patty Pravo (https://www.youtube.com/watch?v=w33F22E64V8). L’ex ragazza del Piper, che già praticamente adolescente era stata simbolo del nuovo, qui rilancia con una travolgente sensualità tra il teatrale e il conturbante, di fatto puro Sessantotto incarnato.
Un cocktail che diventa del tutto micidiale quando arriviamo al quarto posto, dove troviamo una declinazione rock ancora quasi del tutto sconosciuta al contesto italiano, specie se parliamo di piani così alti della classifica di vendite e ascolto, ovvero il rock progressive e psichedelico. Troviamo infatti la splendida Rain and Tears degli Aphrodite’s Child (https://www.youtube.com/watch?v=5HP1DdiqaEs), una psichedelica orazione ipnotica e irresistibile.
A questo punto, il podio possiamo facilmente immaginarlo: se al terzo posto ritroviamo Morandi, ma con un pezzo più classico – Tu che m’hai preso il cuor (https://www.youtube.com/watch?v=Pwac-W3OQiE), decisamente brutto ma che nel nostro discorso ci sta come il cacio sui maccheroni – perché comunque il podio è una cosa seria e non si deve esagerare con le concessioni al beat, al progressive o ad altre diavolerie d’oltremanica ultramoderne.
Al secondo posto, in teoria ci sarebbe un’eresia in pieno stile sessantottino che andrebbe a smentire l’idea appena sostenuto di un podio nel solco della tradizione, ovvero il complesso dei Camaleonti, anche loro tra i principali esponenti dell’ondata beat di metà decennio. Ma in realtà, la band di Livio Macchia arriva al secondo posto con la punta di diamante del suo filone più classico, ovvero un beat fortemente spruzzato di intensità amorose, ma non per questo meno efficace o meno bello. Semplicemente, più spendibile in termini di mercato. In una parola, l’evergreen Applausi (https://www.youtube.com/watch?v=ZtqTQZ3iXbc), un brano assolutamente splendido interpretato con una grinta unica.
La domanda, a questo punto, sorge spontanea: in questa pacifica guerra tra brani beat e brani melodici, chi troviamo in prima posizione? Un ibrido? Macché. Né l’uno né l’altro ovviamente, nel pieno stile di un anno imprevedibile, al primo posto troviamo il tormentone per eccellenza, la marcetta che si pianta nel cervello per non uscirne mai più: la surreale, divertente, quasi futuristica, indimenticabile e famosissima Zum Zum Zum di Sylvie Vartan, splendida e assurda (https://www.youtube.com/watch?v=_qqqKUL2sH8).
Basta così, via col panettone e buon Natale a tutti?
No, neanche per idea. Come sicuramente ai più non è sfuggito, abbiamo saltato il quinto posto. Non una dimenticanza, ma cosa assolutamente voluta. Il perché è molto semplice: lì c’è uno dei più grandi capolavori della musica italiana.
Tre mesi prima quel 23 dicembre, all’inizio dell’autunno, con il Cantagiro appena terminato, due autori molto raffinati abituati a lavorare in tandem avevano tra le mani un pezzo che riproponeva lo schema dei loro principali successi: partiture elaborate, testi di livello ma sonorità orecchiabili capaci di rompere il perimetro dell’élite del cantautorato e imporsi presso il grande pubblico. Fino a quel momento però i loro brani avevano avuto esecutori maschili, mentre per questa nuova canzone si misero in cerca di un’interprete donna.
Contemporaneamente una cantante con già diversi successi alle spalle, tutti di genere beat e shake, era desiderosa di una svolta, di rilanciarsi con brani più complessi ed elaborati. L’incontro tra lei e i due autori fu pressoché inevitabile e fatale.
“Canti come una lavandaia”, le disse l’autore della musica, “ed è proprio quello che cerchiamo”.
Lui era Paolo Conte, il suo “socio” ed autore del testo Vito Pallavicini mentre la cantante Caterina Caselli.
E soprattutto, il brano era la sublime Insieme a te non ci sto più (https://youtu.be/B57Zz1GUbOc).
Non sarà facile, ma sai,
si muore un po’ per poter vivere…
Buon Natale davvero adesso. A tutti voi e con tutto il cuore.