IL JUKEBOX DEL TEMPO PERSO – Correva l’anno, il mese, il giorno… 20 aprile 1989
Correva l’anno, il mese, il giorno… 20 aprile 1989
È il 20 aprile 1989.
Quando si entra nell’ultimo anno di una decade, quale che sia, tirare somme e stilare bilanci è automatico e scontato, per non dire obbligatorio. Il 1989 non fa certo eccezione, ma in quel 20 aprile davvero nessuno immagina, neanche lontanamente, cosa sta per accadere, il terremoto che si sta per abbattere sulla Storia e che porterà, di lì a poco, pochissimo, alla fine rapidissima e vertiginosa di un’intera epoca, quella della Guerra Fredda, che si credeva eterna.
A separare il 20 aprile dagli eventi epocali dell’autunno non c’è che una manciata di mesi, eppure la distanza è siderale, vista l’estemporaneità fulminea con cui andrà a calare il sipario sul secolo breve.
Perciò, sempre in quel 20 aprile, siamo ancora completamente negli anni Ottanta, scintillanti, immemori e caciaroni.
Il mondo che conta, ovvero quello della politica, dell’economia e della grande finanza, non registra il minimo sentore dell’imminente tsunami, e nonostante alcuni deboli segnali di rinnovamento (vedi Occhetto, che proprio in quel marzo aveva tenuto il Congresso del PCI ribadendo la necessità di una svolta), tutti ancora ragionano con gli schemi e le consuetudini del vecchio mondo. Il governo è ancora in mano al Pentapartito, pure se al suo interno è in corso la più grande faida del decennio tra DC e PSI, che mai come ora si contendono la Presidenza del Consiglio della prossima legislatura. Ancora non sanno, che più che alla contesa dovranno pensare a contare i cocci e a leccarsi le ferite.
Partito il febbrile countdown per i mondiali di Italia ’90, con una penisola trasformata in un gigantesco cantiere a cielo aperto, in televisione, sponda Mediaset, che ancora si chiama Fininvest, sbarca la prima stagione dei Simpson, mentre su Telemontecarlo, appena acquistata dal gruppo Cecchi Gori, debutta un gruppo di comici toscani capeggiati da Carlo Conti.
La loro trasmissione, versione televisiva di uno spettacolo itinerante, si chiama Aria Fresca, e la banda è composta, tra gli altri, da giovanissimi che rispondono al nome di Giorgio Panariello, Leonardo Pieraccioni, Massimo Ceccherini.
La Top Ten dei singoli è, ancora una volta, per l’ennesima volta, specchio in tralice dei tempi. In particolare, i singoli più venduti in Italia cominciano a coincidere – fatto quasi mai avvenuto finora – con quelli più venduti oltreoceano. Una identità, ma soprattutto una simultaneità, che racconta meglio di tante parole l’avvio dell’irreversibile processo di globalizzazione.
Ancora tuttavia, la quota di singoli italiani è consistente. Soprattutto, è consistente la quota di singoli sanremesi, nonostante la kermesse rivierasca sia andata in scena a fine febbraio. Ma era il 1989, primo Festival targato Aragozzini, evento apocalittico da molti ricordato come uno dei migliori della storia. Migliore o no, di sicuro, in quel 20 aprile, a due mesi di distanza, resisteva ancora nelle prime posizioni un numero considerevole di canzoni in gara. A partire dai tormentoni di personaggi prettamente televisivi, come il comico Francesco Salvi, che aveva già spopolato in inverno con C’è da spostare una macchina e che a Sanremo era arrivato settimo con Esatto, innocente satira sulle chiacchiere a vanvera e ancor più banale elogio del silenzio (https://www.youtube.com/watch?v=V1VVzhNMMy4). Che comunque, dopo due mesi faceva ancora numeri da capogiro attestandosi addirittura al secondo posto.
Meglio ancora dell’altro fenomeno del momento tenuto a battesimo sempre da Sanremo, ovvero Jovanotti, con Vasco – quarto nella Top Ten -, brano ultra iconico, ma a pensarci oggi… (https://www.youtube.com/watch?v=Ww3630pdR3A).
Resistono ancora anche i brani vincitori, al sesto posto Ti lascerò del duo Anna Oxa e Fausto Leali, una di quelle operazioni costruite apposta per sbancare (https://www.youtube.com/watch?v=nYs4-gsPIkU),
e al settimo Canzoni dell’esordiente Mietta, vincitrice della sezione Nuove Proposte (https://www.youtube.com/watch?v=5Q9zDiyA_78).
Accanto ai trionfatori del Festival, le hit straniere che, come già ricordato, ritroviamo anche nella Top Ten di Billboard, come la splendida Belfast Child – Ballad of the Streets dei Simple Minds, qui al terzo posto (https://www.youtube.com/watch?v=32naGNoxRz4)
e, soprattutto, Like a Prayer di Madonna, indiscutibilmente in testa alla Top Ten di mezzo mondo, in Italia come negli USA, nel Regno Unito come in Francia (https://www.youtube.com/watch?v=79fzeNUqQbQ).
Se è difficile pensare a qualcosa più anni Ottanta di Madonna, lo è ancora di più pensare a qualcosa di più emblematico, per lo spirito dei tempi, di questa canzone e del video che lo accompagna, definitivo sigillo di postmodernismo spinto, mescolanza finale di sacro e profano senza reali intenti dissacratori, piuttosto una trasgressione che si compie in un puro compiacimento estetico, a suo modo perfetto. Inevitabile quanto inutile il vespaio di polemiche e scandali suscitati dalle scene del video girate dentro una cattedrale, con tanto di stimmate che spuntano alla cantante dopo aver toccato la statua di un santo che prende vita. Inutile perché nel momento che esplode l’indignazione religiosa, il pop di Madonna è già costume, tendenza e storia, sedimentato e assimilato e, al tempo stesso, superato da qualcos’altro.
L’alba del mondo liquido.
Ci sarebbe dell’altro, in realtà. Altri pezzi sanremesi mai in gara durante il Festival, ma capaci di imporsi nel tempo fino a diventare autentici classici. Il primo staziona all’ottavo posto, ed è Cosa resterà degli anni Ottanta di Raf, bellissima canzone che rientra in quell’inevitabile operazione di bilancio a fine decennio cui si accennava a inizio articolo (https://www.youtube.com/watch?v=i1jPzdY1yg0). In quel 20 aprile già inno di un’epoca giunta al capolinea, dopo il crollo del muro di Berlino diventerà inno imprescindibile e intramontabile.
Soprattutto, al nono posto, ci sarebbe una delle più grandi perle della storia della musica italiana: Almeno tu nell’universo, un gioiello scritto da Lauzi e Maurizio molti anni prima e resuscitato per il rilancio della divina Mia Martini, che proprio negli anni Ottanta dovette subire il più vergognoso degli ostracismi. La ricerca e la celebrazione di un punto fermo e sicuro mentre tutto attorno pare effimero e transitorio, è la resistenza più ostinata e orgogliosa al mondo liquido chiamato in causa prima. Un grido disperato e rabbioso che però, grazie alla sua bellezza e all’interpretazione sovrumana di Mia, fuoriesce dai tempi in cui è stato scritto e in quelli in cui è stato cantato.
Per diventare qualcosa di assoluto, eterno e immortale.
Come la poesia, quella vera. Quella che resta al di là delle ridicole stagioni e del mondo superficiale che divora, getta via e dimentica…
Tu, tu che sei diverso
Almeno tu nell’universo
Un punto sei, che non ruota mai intorno a me
Un sole che splende per me soltanto
Come un diamante in mezzo al cuore