Una fresca Compagnia composta da giovani attori porta in scena, al Teatro di Rifredi il 6 e 7 marzo alle ore 21, I PROMESSI SPOSI ovvero: questo spettacolo non s’ha da fare una spigliata riduzione teatrale, curata da Angelo Savelli, del celeberrimo romanzo di Alessandro Manzoni che mette in luce una delle più originali, ma spesso ignorate, peculiarità del capolavoro manzoniano: l’ironia. La regia è firmata a quattro mani dallo stesso Savelli con Ciro Masella.
L’idea di partenza di questa trasposizione teatrale de “I Promessi Sposi” è la convinzione che dentro questo grandioso romanzo storico ci sia in realtà una deliziosa commedia: o meglio due. La prima è la commedia della gente semplice, quasi una “commedia dell’arte” in cui due umili innamorati cercano tra mille peripezie di fare la cosa per loro più naturale: sposarsi. La seconda è la commedia delle umane passioni, una commedia filosofica, dove un’intera umanità di popolani e di signori, di buoni e di cattivi, di galantuomini che aspirano a far del bene senza riuscirci e di malvagi che s’ingegnano a far del male senza riuscirci, arranca, tra gli accidenti della Storia, verso un approdo dove solo un occhio esterno ed imperscrutabile – la Provvidenza? il Caso? – distribuisce premi e punizioni. Per raccontare la prima, tutta azione e travestimento, strepito e finzione, si è inscenato un piccolo teatrino dalle cadenze scherzose. Per raccontare la seconda si è spogliato questo teatrino fino alla nudità esistenziale delle vite dei personaggi.
Nella prima domina il Seicento, il secolo della sistematica violazione del Diritto, rappresentato nello spettacolo da tre figure emblematiche: Azzeccagarbugli, l’avvocato che non fa giustizia ma la ingarbuglia per venderla al miglior offerente, Don Abbondio il prete che non segue la religione ma le intimazioni dei prepotenti e Don Rodrigo, il nobile che non governa i suoi sudditi ma sottrae loro le mogli. Il culmine catastrofico della prima commedia è “la notte degli inganni” che è anche il momento a partire dal quale la seconda prende il sopravvento. In questa seconda commedia non c’è quasi più azione ma piuttosto la deriva dei personaggi: tra questi Don Ferrante e Donna Prassede, ingiustamente considerati personaggi minori. Ambedue le commedie confluiscono poi nell’immancabile lieto fine, nel quale però – come nota Giovanni Macchia – “si respira un’aria che turba”. Infatti su tutti e tutto si stende l’ala della Provvidenza che, come un grande occhio indifferente alle passioni umane, getta il suo sguardo fatale sul compiersi degli eventi.
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