CuriosArte: Il fascismo e il "cattivo" uso dell'arte CuriosArte: Il fascismo e il "cattivo" uso dell'arte
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CuriosArte: Il fascismo e il “cattivo” uso dell’arte

CuriosArte: Il fascismo e il "cattivo" uso dell'arte CuriosArte: Il fascismo e il "cattivo" uso dell'artePoche settimane dopo la diffusione a mezzo stampa del documento sottoscritto da 10 “scienziati” fascisti intitolato “Il fascismo e i problemi della razza”, noto come il “Manifesto della razza”, fu pubblicato il primo numero di un nuovo quindicinale, La difesa della Razza.
Era il 5 agosto 1938.
Nell’editoriale, scritto dal direttore Telesio Interlandi, si affermava: “Questa rivista nasce al momento giusto. La prima fase della polemica razzista è chiusa, la scienza si è pronunciata, il Regime ha proclamato l’urgenza del problema”.
Uno dei firmatari del Manifesto L’antropologo fascista Lido Cipriani divenne redattore della rivista, in essa ne delineava la funzione al ministro della cultura popolare Dino Alfieri: “per agire sulle masse italiane in senso razzista occorrerà ricorrere a mezzi molto elementari, che parlino anche agli intelletti più semplici, colpendone la fantasia e possibilmente il cuore”.

L’immagine di copertina del primo numero della “Difesa della razza” divenne il simbolo della rivista. Un viso raffigurante la presunta “razza italica” viene diviso dalle “razze” ebraica ed africana.
La scelta della statua greca del Doriforo di Policleto fu influenzata dall’estetica nazista, ma nell’immaginario del lettore italiano rimandava al mondo classico della Roma antica: si prestava a rappresentare la “razza italica”, inserendosi all’interno di una propaganda ideologica intrapresa dal regime già dal 1935, raffigurare i fascisti come gli eredi della stirpe romana e il fascismo come compimento dell’opera civilizzatrice dell’impero di Roma. Gli italiani venivano così raffigurati quali depositari delle virtù fisiche e spirituali degli antichi romani.
Tutti i visi hanno caratteri fisionomici fortemente accentuati. Il viso semita è una caricatura di terracotta del III sec. d.C. La scelta di rappresentare i tre visi attraverso tre diversi materiali aveva l’effetto di suggerire l’irriducibile diversità nella natura dei soggetti.

Sempre all’ideale di “moderna romanità” fa riferimento l’uso del gladio, l’antica spada delle legioni romane, uno dei simboli del fascismo italiano. I tre visi sono disposti in modo tale che la “razza italica” rimanga dietro ai due soggetti in primo piano contro cui si rivolge la discriminazione razziale, mentre le dimensioni dei visi seguono una regola inversa da quella prospettica: la maggiore grandezza del viso romano corrisponde alla sua presunta superiorità razziale.

Campeggia una citazione di Dante: “Sempre la confusion delle persone / principio fu del mal della cittade” (Paradiso XVI).

Il riferimento al padre della lingua italiana, costituisce un tassello della strategia di legittimazione storica del nuovo razzismo fascista attraverso la strumentalizzazione della tradizione culturale.
Una volta creata l’artificiosa connessione fra antichi romani e moderni italiani (uniti dalla presunta appartenenza alla medesima “razza italica”) fu possibile rappresentare l’antisemitismo accostandolo al simbolo della romanità.

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L’arte, da sempre considerata un potente mezzo in grado di influenzare il popolo, venne quindi sapientemente utilizzata, insieme a tutti gli altri mezzi di comunicazione, a fini propagandistici e ciò trovava il suo naturale complemento nel disprezzo per tutte le forme d’arte che si ponevano in contrasto con gli ideali portati avanti dal regime, inclusa gran parte dell’arte contemporanea.

Nasce il concetto di “arte degenerata”, che nel contesto dell’Italia fascista indicava quelle forme d’arte che riflettevano valori o estetiche contrarie agli ideali del regime.

Avere paura della portata ideologica dell’arte significa avere compreso quello che Paul Klee sintetizza in una delle sue frasi più celebri : ”l’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è.”

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