Chronos & Kronos, ovvero Paolo&Francesco - Intorno al Padre Nostro Chronos & Kronos, ovvero Paolo&Francesco - Intorno al Padre Nostro
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Chronos & Kronos, ovvero Paolo&Francesco – Intorno al Padre Nostro

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Intorno al Padre Nostro

P – A Fra’, devo essermi cacciato in un guaio serio.

F –
Impossibile. Alla tua età?

P –
Non fare lo spiritoso.

F –
Mi preoccupo.

P –
Prima con Il Diavolo di Papini. Non me lo sono cercato, te lo giuro. Dovevo recensirlo e basta. Insomma, me lo sono trovato tra i piedi.

F –
Dopo le bestie di Satana, i Nonni di Mefistofele.

P –
La pianti?! Dico così perché…Hai presente chi è Simone Weil?

F –
No per piacere, non cominciare a divagare. Parlavi di Papini e adesso…

P –
“Quando leggo il catechismo del Concilio di Trento, mi sembra di non aver nulla in comune con la religione che vi è esposta”. Weil dixit.

F –
Lo credo bene. Quella è roba per sadomasochisti, mica per fedeli.

P –
Bravo! Gimme five!

F –
No, Paolo. Gimme five no.

P –
Va bene, va bene. Volevo fare una cosa giovane… Ho scoperto (in occasione di un funerale, in chiesa ormai ci vado solo per i funerali e i matrimoni, e sempre malvolentieri) che hanno cambiato le parole del Padre Nostro. Mi sono sentito defraudato di un piccolo prezioso residuo che mi ero tenuto, per la sua bellezza e semplicità, di un patrimonio che da tempo ho abbandonato. Non più “non indurci in tentazione”, ma “non abbandonarci alla tentazione”. Perché? Dice: per restituire fedeltà all’originale testo greco. Non prendiamoci per il culo, l’originale era aramaico.

F –
Tutte le volte che ti sento inveire contro questioni del genere con tale energia mi prende un misto di ammirazione e tenerezza. Però che c’entra Papini?

P –
Il mio consulente Papini, proprio sul significato delle parole “non indurci etc.”, dice: “il testo è chiaro e non può essere alterato da interpretazioni accomodatizie. Il testo semitico, soggiacente al greco attuale, non consente quelle varianti”. I capoccioni della Chiesa dicono: “è per corrispondere più fedelmente alle intenzioni espresse da Gesù nella preghiera”. Siamo alle solite. La Chiesa stablisce le intenzioni di Gesù, a distanza di un paio di millenni. Come se Matteo non fosse stato testimone oculare e auditivo.

F –
Chissà cos’è successo davvero. Ognuno la vede a modo suo, Paolo. Pensa a quando si poteva leggere il vangelo solo in latino e non in volgare. Sarà stata una regola stupida? Adesso pensano, i capoccioni, di aver “imparato la lezione”. Mica è vero. Prima erano troppo chiusi. Adesso sono troppo aperti.

P –
Ogni volta che la Chiesa ha aggiunto un dogma a quelli rivelati da Gesù, quasi sempre ha sbagliato e si è allontanata dall’insegnamento di Gesù. Mica lo dico io, l’ha detto la Weil.

F –
E daje con la Weil …!

P –
Perché bisogna ripudiare una concezione di Dio “tentatore”? Fammi capire: che differenza c’è tra il tentare e l’abbandonare alla tentazione? Trattandosi di Dio, nessuna. Tentarci o abbandonarci alla tentazione. Azione diretta o indiretta. La conclusione è la stessa. E poi a me piaceva l’idea di un Dio che mette alla prova, che fa i dispetti.

F –
Il fatto è che i tempi di oggi sono semplicistici e super polarizzati. Devi schierarti o per il bianco o per il nero. Non esistono zone grigie. La cultura si fa così, ormai. Non vedi come si tende a cambiare tutto, a polemizzare su tutto, a fare i piedini alle mosche? Per me il Papa migliore è Jude Law. Sì, quello di Sorrentino nella serie The young pope. Un Papa conservatore, come conservatore deve essere il potere.
Sta a noi, al popolo, fare la rivoluzione, non ai capi. Altrimenti ci viene subito il dubbio che loro facciano finta di farla per non farla fare  a noi.

P –
Se è per questo, per me il Papa migliore è Michel Piccoli, quello di Nanni Moretti. Ma, per favore, non divagare con la tua sconfinata cultura cinematografica Quello che voglio dire è che, non indurci in o non abbandonarci a, come la mettiamo con quel che sta accadendo nella Striscia di Gaza, dove siamo ben oltre la semplice tentazione?

F –
Nooo, Paolo! Gaza no.

P –
Gaza sì, invece. Lo so che è pericoloso parlarne. Ma quel che ci accomuna – almeno credo – è la mancanza di peli sulla lingua.

F –
O sul cranio.

P –
Abbiamo un’età.

F –
Tu avrai un’età, il mio è tutto testosterone.

P –
Non sottolineare che sono pensionato. Comunque, proprio perché non ho più l’età per rivestire o aspirare a incarichi pubblici, e quindi non rischio nessun ricatto o bocciatura, sono libero di espormi. E non importa se verrò ricoperto di fango e accusato di antisemitismo.

F –
Ancora? Parliamo di capelli, Paolo…

P –
Il vero grande problema di Israele è quello di considerarsi ancora, a distanza di duemilacinquecento anni, popolo eletto. Sta nell’Antico Testamento, nel restare all’Antico Testamento, il problema di Israele. Philip Roth insegna (gimme five, Philip!)

F –
Paolo!

P –
Scusa, scusa. Roth ha detto qualcosa come: gli ebrei sono un popolo con un processo in corso, un popolo che reclama ciò che gli spetta di diritto, che denuncia l’ingiustizia di Dio.

F –
Sì, ma…

P –
E la mia consulente spirituale Simone Weil rincara la dose: “Gli ebrei hanno avuto come idolo (…) una razza, una nazione (…) La loro religione è nella sua essenza inseparabile da questa idolatria, a causa della nozione di “popolo eletto”. Mi sono cacciato in un guaio!

F –
Fossero questi, i guai. Caro Paolo, è la Weil stessa che scrive, nel suo capolavoro “L’ombra e la grazia” che “il sentimento della nostra miseria è il sentimento della realtà”. Si dica pure il Padre nostro come vogliamo; l’essenziale è che si tenga bene a mente che le tentazioni, in qualunque modo vogliano accalappiarci, siamo noi che decidiamo di caderci. E nessun altro. Questo primo scorcio di secolo è stato il più grande foriero di alibi per la nostra società, di nascondigli morali e fisici. Un monito dovrebbe far osservare la Chiesa, invece di cambiare le proprie preghiere: parlare e non dialogare, scontrarsi e non confrontarsi, fare e non pregare. Uscire da sé, come “il principale” ebbe coraggio di fare più di 2000 anni fa. Sentire gli altri in noi, questo dovremmo fare. Sempre tenendo bene a mente che “il sentimento della nostra miseria è il sentimento della realtà”.

Paolo Banfi & Francesco Tozzi

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