È stato annunciato, nel corso della prima giornata di UmbriaLibri 2022, il vincitore del Premio Letterario Nazionale Opera Prima “Severino Cesari”. A vincere il Premio è Bernardo Zannoni con I miei stupidi intenti (Sellerio). Al secondo posto Nonostante tutte di Filippo M. Battaglia (Einaudi) e al terzo posto Divorzio di velluto di Jana Karšaiová (Feltrinelli).
La cerimonia di premiazione ha offerto l’opportunità di apprezzare il talento narrativo e l’originalità delle voci dei tre autori finalisti che sono stati scelti da una giuria composta da Daria Bignardi, Giancarlo De Cataldo, Giovanni Dozzini, Luca Gatti, Antonella Lattanzi, Gabriella Mecucci, Francesca Montesperelli, Giacomo Papi, Michele Rossi e Simona Vinci (Presidente).
Le motivazioni della Giuria:
I miei stupidi intentidi Bernardo Zannoni: “Mio padre morì perché era un ladro. Rubò per tre volte nei campi di Zò, e alla quarta l’uomo lo prese. Gli sparò nella pancia, gli strappò la gallina di bocca e poi lo legò a un palo del recinto come avvertimento. Lasciava la sua compagna con sei cuccioli sulla testa, in pieno inverno, con la neve». Inizia cosìI miei stupidi intenti, romanzo d’esordio sorprendente scritto a poco più di vent’anni da un ragazzo di Sarzana di nome Bernardo Zannoni, che aveva spedito il manoscritto all’editore Sellerio. Il protagonista e io narrante è Archy, la piccola faina orfana del padre ucciso perché ladro. La vita di Archy sarà dura e avventurosa: si romperà una gamba, verrà venduto dalla madre per una gallina e mezzo alla volpe Solomon, imparerà a leggere e a scrivere, conoscerà l’amicizia, l’amore e il sesso. I miei stupidi intenti può far venire in mente Orwell, Camus, La collina dei conigli di Richard Adams o Mark Haddon; ma a leggere la trama si potrebbe pensare a un cartone animato della Pixar. Invece è nato uno scrittore autentico con una voce sicura, originale e contemporanea. Dalle prime righe ci si affeziona ad Archy, l’animaletto sfortunato e calpestato che tuttavia si accoppia con la sorella, caccia, uccide i più deboli e medita di mangiarsi i suoi stessi figli. Perché in quella crudeltà mescolata alla tenerezza, come nella vita, c’è il suono distinto della vera letteratura. Un romanzo che ci ha colpiti appena arrivato in libreria e sul quale abbiamo dato un giudizio unanime e convinto”.
Nonostante tutte di Filippo Maria Battaglia: “Filippo Maria Battaglia ha immerso le mani nel Novecento italiano rovistando tra i diari di migliaia di donne custoditi all’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano, per estrarne quattrocento frammenti provenienti da centodiciannove vite – cioè, da centodiciannove voci – e montarli, spostarli, accostarli, fino a costruire un cantico multiplo ma omogeneo in cui i passaggi storici, le classi sociali e perfino la geografia dei paesi e delle città italiane si impastano in un solo racconto, in una testimonianza plurale e femminile del secolo scorso. “Nonostante tutte” è un libro unico, modernissimo eppure antichissimo perché quasi orale, sperimentale ma non intellettuale, raffinato ma popolare, delicato e violento, che l’editore nell’aletta definisce “romanzo”, pur essendo anche un saggio storico. È un testo che ha il merito grande di cancellare – grazie alla forza dell’idea e alla cura artigianale della composizione – tutte le etichette linguistiche con cui, nei millenni, abbiamo cercato di definire e imprigionare la narrativa, per ricondurre ogni differenza alla parola originaria: storia, con la s maiuscola e con quella minuscola, all’impasto di fatti, esperienze ed emozioni di cui è fatto ogni raccontare. È un libro senza autore, perché per comporlo l’autore non ha scritto una riga. (Ed è un fatto eccezionale in tempo di ipertrofia dell’ego come il nostro). Se, dopo averne discusso, la giuria ha scelto di premiare il suo autore mancante non è soltanto perché il montaggio è una tecnica letteraria che ha una tradizione che va dal surrealismo al postmoderno fino, per dire, a George Saunders. È soprattutto perché nel modo in cui Battaglia ha cucito i frammenti tra loro – d’altronde le parche filavano, e ogni storia è trama e ordito – emerge davvero una voce di donna, unica e distinguibile, individuale e universale, che assomiglia a quella delle madri e nonne di ognuno di noi”.
Divorzio di velluto di Jana Karšaiová. “Prima di tutto c’è una storia. È la storia di una donna, e delle donne e degli uomini che le ruotano intorno. Il rapporto complicato con la madre, un matrimonio che sta andando in fumo, una vecchia amica con cui ha condiviso tratti di strada che in qualche modo sembrano non essersi consumati mai. Una storia come tante delle storie che si leggono nei romanzi: la vita è così, la letteratura ne prende le parti migliori e le peggiori, e ne fa ciò che crede. Poi c’è lo sradicamento, un altro tema che nella storia della letteratura è centrale. La terra dove tutto è cominciato, le altre terre in cui la protagonista ha costruito il proprio mondo e la propria identità. E poi qui lo sradicamento non riguarda solo lo spazio ma anche il tempo, perché la stessa terra, nel corso degli anni, ha cambiato sostanza, e faccia, ha cambiato persino nome. Infine la lingua. Che non è la lingua dei padri, ma la lingua dell’approdo.
La forza di Divorzio di velluto viene da una combinazione di queste componenti. Jana Karšaiová ha scritto un romanzo tenue e allo stesso tempo incisivo: ne traspare una certa coscienziosa malinconia mitteleruopea capace di intridersi con gli elementi universali propri di ogni sentire e ogni rapporto umano. La vicenda cecoslovacca, la nascita blanda di due Paesi laddove per decenni ce n’era stato uno solo, mentre poco più a Sud la Jugoslavia esplodeva e la galassia sovietica, a Est, si sfaldava nell’illusione che sarebbe stato per sempre e a costo zero, non è una vicenda che in Italia, fuori dall’accademia, siamo abituati a sviscerare. La letteratura spesso è però in grado di dirci molto, sulla storia e su certe società, anche in poche pagine. Karšaiová in questo caso c’è riuscita bene, abbandonando la lingua in cui è cresciuta per scegliere un armamentario nuovo, e l’italiano. “La mia patria è la lingua portoghese”, scriveva Fernando Pessoa nel Libro dell’inquietudine di Bernardo Soares. “Il vero luogo in cui vivo è la lingua romena”, dice Norman Manea, grande letterato sradicato della contemporaneità. Quella di Jana Karšaiová è una patria in cui convivono patrie diverse: Divorzio di velluto sembra il romanzo della resa dei conti, il futuro potrà condurla in molti luoghi che siamo ansiosi di conoscere insieme a lei”.
Giunto alla sua quinta edizione il Premio Letterario Nazionale Opera Prima “Severino Cesari” – nato per onorare la memoria del giornalista, editor e curatore editoriale Severino Cesari – è promosso dalla Regione Umbria in collaborazione con l’Associazione culturale «Severino Cesari».
Il Premio è un concorso di narrativa italiana che vuole sostenere e valorizzare le opere degli scrittori esordienti, puntando ad individuare quelle che potrebbero presentarsi come nuove e interessanti promesse nel panorama culturale nazionale. La Giuria cerca quanto più possibile di tener fede alla prospettiva empatica di lettura che guidava i criteri di scelta di Cesari, mantenendone l’apertura a qualunque sperimentazione, ma anche l’ascolto attento al ritmo della lingua e della trama.
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