A “RAInchieste” l’arte di parlare con gli sconosciuti
Il “Viaggio in seconda classe” di Nanni Loy
In seconda classe – secondo il padre della candid camera – perché lì c’era lo spaccato più autentico dell’Italia del tempo, e microfoni e telecamere nascoste catturavano momenti di ordinaria spontaneità trasformandoli in straordinarie cartoline dell’epoca. Un’Italia che difficilmente arrivava sugli schermi, gente comune che compone un mosaico di dialetti, paesaggi e storie.
La casalinga di Martinafranca ripercorreva, così, anche la genealogia della sua grande famiglia di buona discendenza pugliese, finita in bancarotta durante il fascismo. Artisti da parte di madre, avvocati da parte di padre. Incalzata dagli attori, che si fingevano comici di avanspettacolo, parlava dei trulli, cantava in martinese e raccontava di quando stava a Milano, soffrendo la nostalgia per la sua lingua: “Se parlavamo in martinese i milanesi ci chiamavano giargianesi”. Poi le sue foto, la sua casa, lei da giovane: “sembro Ingrid…come si chiamava quell’attrice?”.
Un giovane sardo, “un caro concittadino” della sua Sardegna – lo definiva Nanni Loy – raccontava il “razzismo” subìto a scuola perché figlio di contadini. La rabbia per la differenza tra chi può e chi non può. Ma soprattutto il desiderio di rivalsa. 23 anni, un lavoro in banca. Ma stava andando a fare il militare, suo malgrado. Le due attrici sue compagne di viaggio interpretavano una madre e una figlia, alla quale diceva: “A sopravvivere si fa presto, vivere è difficile”.