IL JUKEBOX DEL TEMPO PERSO - Correva l’anno, il mese, il giorno… 4 novembre 1966 IL JUKEBOX DEL TEMPO PERSO Correva l’anno, il mese, il giorno… 4 novembre 1966
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IL JUKEBOX DEL TEMPO PERSO – Correva l’anno, il mese, il giorno… 4 novembre 1966

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Correva l’anno, il mese, il giorno… 4 novembre 1966

È il giorno dell’alluvione.

L’Arno esonda in piena notte travolgendo Firenze e buona parte della Toscana, fino al Valdarno aretino, all’empolese, al pisano. Gli anni “rampanti” del boom sono passati, eppure ancora si sfrutta l’onda lunga del miracolo economico per presentare l’Italia come un paese in crescita, fiducioso e con solide basi su cui costruire il futuro. In realtà, diradati come la nebbia i miraggi del boom, dell’industrializzazione e dell’arricchimento facile e a portata di tutti, il paese si mostra ancor più chiaramente per quello che è, ovvero involuto culturalmente, economicamente povero e socialmente teso e attraversato da nord a sud da forte malcontento. Soprattutto, con una democrazia ancora bloccata, inchiodata più di ogni altra realtà occidentale alla logica della guerra fredda e dei blocchi contrapposti. E, di conseguenza, con una classe dirigente incapace di avviare un reale rinnovamento del paese e soprattutto inadeguata a cogliere le istanze, i bisogni e le ambizioni di una nuova generazione emergente, i nati dopo la guerra, che inizia a premere e smaniare chiedendo a gran voce un mondo diverso.

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L’alluvione di Firenze è un tragico specchio dei tempi e un crocevia quantomai simbolico. La città sommersa da metri d’acqua, fango e detriti, è l’immagine drammatica di un paese nudo, sguarnito, esposto alla catastrofe. L’inadeguatezza della politica è tutta nella reazione di Roma, che sottovaluta per ore la reale entità del disastro, ignorando gli appelli delle autorità locali, dei giornalisti sul posto. E ritarda così l’invio di aiuti, contribuendo ad allargare a dismisura la portata della tragedia.
IL JUKEBOX DEL TEMPO PERSO - Correva l’anno, il mese, il giorno… 4 novembre 1966 IL JUKEBOX DEL TEMPO PERSO Correva l’anno, il mese, il giorno… 4 novembre 1966Mentre viceversa, la moltitudine di giovani che spontaneamente accorrono da tutta Europa in aiuto della città alluvionata – quelli che passeranno alla storia come «gli angeli del fango» – sono il segno della nuova generazione, che si prende la scena con codici, linguaggi e comportamenti del tutto diversi da quelli dei padri. Il Sessantotto è alle porte, le università americane sono già occupate contro la guerra del Vietnam, per le strade di Parigi si manifesta già febbrilmente e anche in Italia i segni di questo nuovo inarrestabile sono più che tangibili. A Milano infatti, scoppia il caso de «La Zanzara», il giornale studentesco del Liceo Parini, dove i tre redattori, colpevoli di aver pubblicato un’inchiesta sui problemi sessuali degli studenti, finiscono sotto processo per «oscenità». La loro assoluzione, seguita e commentata da gran parte della stampa straniera, è un ulteriore segno del cambiamento epocale in atto.

I jukebox raccontano tutto questo in maniera molto più chiara di quanto sembri. La tradizione, la sua strenua conservazione, anche quando ottusa e irragionevole, non solo resiste, ma continua a comandare e a dettare legge. Così la Top Ten del giorno dell’alluvione, vede al primo posto un super classico di certo splendido e senza tempo, l’immortale Strangers in The Night di Frank Sinatra (https://www.youtube.com/watch?v=Fd_3EkGr0-4), ma che mentre oltreoceano si contendono la piazza principale Monkees, Mamas and Papas, Beach Boys e Rolling Stones, va letta anche come una chiusura al nuovo e al cambiamento. Ma proprio come Firenze dal popolo degli angeli del fango, anche la classifica dei singoli viene occupata dalle nuove irresistibili sonorità beat, che nella musica italiana si traducono nel moltiplicarsi incontrollabile di band formate da giovani e giovanissimi sedotti dal sound anglosassone.

Al secondo posto ecco così spuntare Bang Bang, la fortunatissima hit scritta da Sonny Bono per la compagna Cher, (https://www.youtube.com/watch?v=ONV5969cGR4) qui nella versione italiana proposta dalla Equipe 84 di Maurizio Vandelli, tra i massimi esponenti del beat nostrano.

Brano talmente famoso che in quel 4 novembre troviamo anche al settimo posto, nell’interpretazione decisamente meno rock ma più sensuale – e parimenti innovativa – di Dalida (https://www.youtube.com/watch?v=WUVJY4N9bbI).

Ma soprattutto, appena fuori dal podio, troviamo un autentico inno generazionale (tra i primi di quella “Meglio Gioventù” che di lì a poco avrebbe occupato le strade e le piazze di mezzo mondo) come E la pioggia che va dei mitici Rokes di Shel Shapiro (https://www.youtube.com/watch?v=D6I1_FFDhak). Versi come «Ma noi che stiamo correndo/ avanzeremo di più,/ ma non vedete che il cielo/ ogni giorno diventa più blu» o come «Non importa se qualcuno sul cammino della vita/ sarà preda dei fantasmi del passato,/ il denaro ed il potere sono trappole mortali/ che per tanto e tanto tempo han funzionato», sono autentiche, ingenue e fantastiche anticipazioni dell’onda del Sessantotto.

E, per completare il quadro, al sesto posto uno tra i brani più iconici e simbolici dell’intera epopea del beat italiano: la splendida Una ragazza in due dei Giganti (https://www.youtube.com/watch?v=CI3SPcGlmpU), cover di Down Comes The Rain dei The Royals.

La presenza in top ten anche dei Beatles con la sublime Yellow Submarine, se pure in una posizione di rincalzo (solo nono posto, ma se pensiamo che appena tre anni dopo, durante la mitologica apparizione italiana dei Fab Four a Milano, stampa e pubblico tricolore avevano posto più attenzione a Peppino Di Capri e Fausto Leali, che aprivano il concerto, che alla band di Liverpool, trovarli comunque in classifica è un’autentica rivoluzione) è il segno di un’apertura nuova ancora del tutto sconosciuta da queste parti.

Ma non è finita qui. Nella top ten del giorno dell’alluvione troviamo anche due autentici “mostri sacri” della canzone italiana, ovvero Celentano e Morandi, rispettivamente al terzo e al decimo posto. Per quanto ancora molto giovani, nel 1966 sono già dei classici. Ma in questa particolare classifica sono presenti con due brani tutt’altro che tradizionali. Il molleggiato, che pure non perde occasione per rimarcare la sua distanza dall’ondata beat (come di lì a poco rimarcherà la sua estraneità alle contestazioni, come tra l’altro farà il suo modello americano Elvis Presley), dimostra di cogliere il cambiamento in atto, e presenta un brano come Mondo in mi7a, nuovo e innovativo in ogni aspetto (https://www.youtube.com/watch?v=Nkt83ykakOw). L’incedere rock che riecheggia il successo di Nancy Sinatra Hese boots are made for walking, la durata inusuale (oltre sei minuti, il doppio di una canzone standard, memore della lezione dylaniana di Like a Rolling Stone) ma soprattutto il testo, che riflette la necessità di proporre una musica che non sia più soltanto svago, ma anche veicolo di un messaggio. Mondo in mi7a è quindi il primo brano “impegnato” di Celentano, già nel suo stile consueto di proclama ambientalista, in ogni caso un reale e concreto sguardo critico alla contemporaneità.

IL JUKEBOX DEL TEMPO PERSO - Correva l’anno, il mese, il giorno… 4 novembre 1966 IL JUKEBOX DEL TEMPO PERSO Correva l’anno, il mese, il giorno… 4 novembre 1966Ma a fare epoca, o meglio a segnare un’epoca, è il singolo di Gianni Morandi: C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones (https://www.youtube.com/watch?v=rOJQuTD73Wk). A scriverla, in un inglese approssimativo, quasi maccheronico, un giovane e sconosciuto cantautore senese, Mauro Lusini, che la propone a Franco Migliacci, il coautore di Nel blu dipinto di blu e di una quantità incalcolabile di successi dell’epoca. Una sorta di divinità della musica italiana degli anni Sessanta. Migliacci ne intuisce il potenziale, la traduce in italiano e la propone a Gianni Morandi, giovanissimo, ma già bisognoso di un rilancio con un cambio radicale di immagine. Basta con il geghegè e con le canzonette adolescenziali e via con una fase più matura e impegnata. È il brano perfetto e il resto è storia: la RCA è preoccupata e sconsiglia a Morandi di legare la sua immagine a un testo giudicato troppo “scomodo”, ma il cantante tiene duro e la esegue per la prima volta al Festival delle Rose, trasmesso dalla RAI. La TV di Stato censura il testo imponendo di oscurare le parole «Vietnam» e «Vietcong»: non si può offendere una nazione alleata come gli USA e i dirigenti RAI minacciano Morandi e Migliacci addirittura di ritirargli il passaporto. Interprete e autore evitano per fortuna la prima grottesca proposta RAI (ovvero sostituire le parole incriminate con «Corfù» e «Cefalù»), ma sono costretti comunque a piegarsi al diktat, e Morandi oscura le due parole rifacendo il verso del mitra come nel refrain «ta-ra-ta-ta-ta». Ma solo nella prima strofa. Nella seconda Morandi trova il coraggio e canta con convinzione «Nel suo paese non tornerà/ Adesso è morto nel Vietnam».

Seguì un ovvio vespaio di polemiche. Ma il dado ormai era tratto. Questo in ottobre, a pochi giorni dall’alluvione. Il 4 novembre il famosissimo beat antimilitarista entrerà trionfalmente nella top ten.

Il vento sta davvero cambiando.

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